Gaetano Pompa
Pittore, Scultore, Incisore, Maestro in Maiolica e Disegnatore (1933-1998)

Nigro Raffaele

"Gaetano Pompa : l'ombra lunga della storia" di Raffaele Nigro

 

C'erano una volta gli artigiani del metallo. Così ho pensato leggendo le riflessioni con cui Gaetano Pompa accompagna i cataloghi delle sue mostre e il lavoro, a volte minuzioso a volte ciclopico, che compie in fonderia e in bottega .E dell'artigiano ha i comportamenti .Il suo eclettismo creativo si sostanzia della cultura lucana, che combina con la classicità del museo all'aperto qual è la città di Roma e la vigoria barbarica del mondo tedesco. Tre luoghi e tre esperienze di vita e di cultura che uniscono nord e sud dell'Europa, il Mediterraneo fenicio e mesopotamico, la Roma dei Cesari e la Germania di Tacito, degli Svevi e dei Nibelunghi. Alla corte di Federico II di Svevia approdò intorno al 1230 Riccardo da Venosa,l'autore del Paulino et Polla liber. Riccardo era giudice a contratti a Venosa e per molto tempo è stato confuso con un altro che Giustino Fortunato si è preoccupato di snidare come de Florentia. Ovvero Riccardo da Forenza , anch'egli giudice a contratti. Forenza, paese dove Gaetano Pompa è nato, è nel cuore della valle di Vitalba,nel centro di quell'area dove si sviluppò la grande espressione architettonica normanna e longobarda e che ha dato a Melfi la chiesa di Santa Maria ad Nives, ad Acerenza la cattedrale di San Canio e ai paesi circostanti le molte cattedrali e i tanti conventi descritti da Emile Bertaux e tempestati di bassorilievi o coronati da alberi della vita. Forenza avrà certo ricordato a Pompa che per queste contrade passò il re Italo, autore e fondatore di quelle tavole di Banzi che regolarono la vita dei primi abitatori della regione dei lupi, dei boschi e della luce. Furono più tardi i Sanniti a chiedere ai Lucani di dare loro manforte contro i romani, prepararono un tiro mancino alle Forche Caudine. I Sanniti che ci hanno lasciato testimonianze innumerevoli di scultura e di fusione. Ma io ho citato Venosa e ho trascurato di citare Orazio, che per i lucani è nume tutelare, un progenitore dalla cui presenza scaturisce una sorta di nobiltà di appartenenza alla terra. Chi nasce in alta Basilicata si sente discendente del poeta, vocato all'arte per familiarità col cantore dell'Aufidus asper. Ma se questi sono fatti noti, è meno noto che in età normanna la regione del Vulture ospitò una delle più straordinarie maestranze della fusione del bronzo. Rogerius de Melfie ha lasciato impresso il suo nome su un paio di candelabri acquistati dalla chiesa di San Sabino di Canosa e ha firmato un paio i campane e la porta della tomba di Boemondo, mentre Cesare Cavuoti fonde un mortaio in bronzo nel 1228 e tutta una schiera di lavoranti scolpiscono e incidono la pietra, da mastro Sarolo da Muro Lucano autore di una creazione di Adamo ed Eva a Mele di Stigliano che lavora i capitelli federiciani in parecchi cantieri dell'impero. Tutto questo preambolo per dire che chi nasce in luogo dove l'avarizia dei tempi correnti non porta benessere e trasformazioni sociali, è per forza di cose condannato a cercare la nobiltà del luogo nella storia e a riscattare il disagio del presente con la luminosità del passato. Laddove passarono pecore e pastori e passarono soldati, monaci e mercanti, lì posa oggi lo sguardo dell'artista e cerca le ragioni del degrado. E la sua riflessione si allarga, come i cerchi concentrici di uno stagno, a cercare le ragioni del degrado collettivo e le più profonde ragioni per le quali il mondo è stato, continua ad essere e sarà. Qui vennero gli Illiri, sembrarono dire la tavole, le lamine i bassorilievi di Pompa, qui vennero i Dauni, gli Epiroti. Di qui passarono Cartaginesi e Romani. Soprattutto qui approdò la grande cultura del Mediterraneo, l'inviato del principe Gilgamesh che venne a spiegarci il significato della scrittura. In un fastuoso bassorilievo dedicato al " de arte venandi cum avibus" di Federico II di Svevia, Pompa ha raccontato la storia dell'uomo e dei suoi legami alla natura , aderendo alla fusione tra uomini e cose, tra uomini e animali. Io dico che Pompa è un epico narratore di mitologia. Il mito di Diomede che approda sul Gargano e di lì parte per fondare le città della Magna Grecia, i miti del Minotauro e della dea Cibele , i miti di Pitagora. Pompa è un inviato di età remote che attraversa tutte le età e approda ai tempi moderni, un cavaliere della tavola rotonda, un cavaliere crociato o teutonico che ci riporta ad un mondo fantastico , magnogreco o medievale , mesopotamico o egizio. Il sogno si sposa col mito, si fa scorribanda visionaria tra i secoli e tra gli abitatori della fantasia di ogni tempo: tritoni, draghi volanti, sirene, ippogrifi, scarabei antropomorfi, umanoidi zoomorfi presi in prestito dal bestiario di Bosch. Tuttavia ,le creature di Pompa non appaiono mai definite, sono abbozzi, lemuri, fantasia e realtà, costruzioni stravaganti, ironie e deformazioni delle quali ,non possiamo più fare a meno e che Pompa a ragione definisce "Mutmassungen"; congetture .Cos'è ormai l'uomo se non un vaso in cui si sono mescolate le informazioni più diverse? La sintesi della storia è il rotolo della colonna di Traiano, è lo scudo di Achille, sono le porte disegnate da Dedalo, dove in un attimo passa tutto il film dalle origini del mondo a oggi. Allora , sotto i molteplici travestimenti non può che esserci un ammasso di muscoli e di ossa, un corpo nudo sul quale si collocano di volta in volta vestimenti diversi, dalla cui foggia riusciamo a storicizzare. Sul muro di pietra o di bronzo di Babilonia, sulle steli daunie o sulle piramidi della Valle dei Re, sugli infiniti alberi della vita disseminati per le chiese romaniche d'Italia, nel sontuoso albero della vita di Pantaleone ad Otranto, o in quelli del Wiligelmo, in una parete di ceramica o di metallo o di tufo, agiscono schiere di umanoidi, di acroteri, di minotauri, di grifi, di serpenti piumati, di uccelli di, schiere di creature che non hanno più nulla di umano e non hanno ancora del divino, ma sono questo e quello e sono comunque la rappresentazione ora medievaleggiante ora barocca ora arcaica del mondo. Un mondo profondamente mediterraneo e che si combina con quello scaturiente dalle saghe nordiche. Exegi monumentum aere perennius, potrebbe scrivere sul proprio epitaffio Pompa, nel senso che lavorando col bronzo e cesellando produce una sintesi storica ed eclettica del mondo artistico e storico, con un continuo andirivieni tra alto e basso, forte e debole, macroscopico e minuzioso, sintesi e analisi. Direi insomma che l'espressione della potenza e della forza e il suo contrario, la raffigurazione della fragilità e della delicatezza sono i motori primigeni dell'opera di Gaetano Pompa , proprio come Pascal ritiene l'uomo canna soggetta ai venti e tuttavia pensante. Si osservino i corpi delle minuziose figure armate che adornano i bassorilievi, sono scheletri, sono ammassi di muscoli e di tendini. E questi scheletri non li ritroviamo raffigurati sulle chiese barocche di molti paesi del centro e del sud Italia? Non sono contemporaneamente la raffigurazione della morte quale l'hanno offerta Bosch, Brueghel e i fiamminghi? Ecco, forse sta qui un incontro tra mondo tedesco e mondo mediterraneo, nella riproposizione della scultura e dell'arte longobarda, nella commistione di barbarico e latino quale incontriamo nella scultura di Wiligelmo e nella cronologia di Paolo Diacono, e dunque nella rappresentazione della vita attraverso la presenza costante della morte. E allora, ai due principi anzi detti se ne unisce un terzo; la deperibilità. Il tempo non ha consistenza è il motore della vita è la lotta , tra finito e infinito, forte e debole, tra il gatto, scattante e veloce , ed il serpente, lento e schiacciato al suolo. Ecco allora l'esasperazione del contrasto realizzarsi in oggetti di metallo ben corazzati ma che hanno forme delicate, proprio come il soldato che è imbozzolato nell'armatura ma si porta dentro un anima di ossa e di carne. Proprio come sono il gatto ed il serpente , capaci di fuga e di velenosa e ungulata aggressività, ma costituitivamente fragili. La fragilità dell'acciaio, questo in definitiva racconta Pompa e dunque la fragilità della belva uomo. E il racconto passa attraverso lo scontro più macroscopico che ci accompagni, la lotta tra reale e irreale, tra concreto e fantastico. Il mondo di Pompa si dilata nell'onirico e nel surreale perché il mondo dell'uomo è onirico e surreale, perché nulla riesce a fermarsi nel cerchio costretto del visibile. Un bestiario fantasioso e bizzarro si concreta nei colori e nelle forme di questo maestro che ci conduce per luoghi straordinari abitati da animali rostrati, rivestiti di carapace, come tartarughe e scarabei dalla corazza in forma di pigna, o come un grande portale rinforzato di rame, il portale della città del tempo e della storia, coi quali l'individuo e costretto a misurarsi. Il presente ha un cuore antico, diciamo mutuando da Levi, ed ecco che tutto , i giovani centauri su motori potenti, le moderne megalopoli, le prospettive, insomma tutto viene ingabbiato in una corazza , assume la collocazione ieratica di un bassorilievo, si chiude nell'area della stele , è parte decorativa di un luogo tombale. E' la tecnica con la quale Pompa intende sottrarre alla beffa della caducità le cose, per affidarle a un tempo più dilatato, per far sì che superino la fragilità della cronaca ed entrino nella durevolezza della storia.


Mail: contatto@adrianopompa.it Tel. 0039 329 2061102

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